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Quando femminilità fa rima con ironia

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Fare comunicazione vuol dire creare quel valore aggiunto che permette a un prodotto di essere venduto bene anche in tempo di crisi. Almeno è cosi che la pensa Milena Mineo, affermata professionista milanese del marketing e titolare di Mil, agenzia specializzata nella creazione e nell’organizzazione di incentive di qualità.

Quale sia il futuro della comunicazione in questo tempo di crisi pochi lo sanno. C’è un certo fermento però, tanto che Assocomunicazione e Upa hanno appena promosso un convegno dedicato al momento attuale dell’advertising, ma non solo. E il suo titolo in un certo qual modo “profetico” – ovvero “Tutto Cambia. Cambiamo tutto?” – mi fa concretamente pensare al fatto che in ogni tempo di crisi è bene vedere non solo il lato negativo della situazione, ma anche o forse soprattutto? – quello positivo di opportunità che il futuro possa essere migliore».

Uno dei punti di forza per l’avvenire, non solo nostro come operatori del settore media, ma di tutta l’economia nazionale sarà quello di capire che “nulla è per sempre” e che meglio si sfruttano le possibilità che madre natura ci ha dato in quanto italiani – fantasia, capacità di relazionarsi agli altri, voglia di vivere –, più riusciremo a far crescere il Paese e a tirarlo fuori da questo innaturale pessimismo.

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Parte così, subito a cento all’ora, la nostra chiacchierata con Milena Mineo, la brillante e milanese – aggettivo che per chi non lo sapesse ancora sta per intraprendente e ottimista insieme – titolare dell’agenzia Mil, importante realtà proprio meneghina nel business del leisure travel. D’altronde uno è quello che mostra di essere: trovandosi davanti la statuaria Milena, tra un caffè e un ricordo delle vacanze in Riviera – che, sempre per chi non lo sapesse, a Milano è sinonimo di Liguria – non si può non essere subito catapultati in un serrato discorso sul futuro del settore della comunicazione e dell’Italia tutta.

Sì, ma se passiamo per un attimo dal generale al particolare, quali sono le “possibilità” che sono state date a Milena Mineo?

«Credo derivino molto dalla mia formazione, che è stata una formazione in viaggio. Dopo il diploma sono partita per trascorrere una lunga parentesi lavorativa negli Stati Uniti prima e in Germania poi. Sarà forse banale dire che andare in giro ti apre la mente, ma è assolutamente vero. E per quanto mi riguarda questi anni lontana mi hanno permesso di capire chi fossi e cosa volessi. Una volta tornata in Italia, invece, un pizzico di fortuna e la chiamata di un’amica mi hanno instradato sul percorso che cercavo, quello del lavoro come viaggio. Ed eccomi qua».

Dal lavoro come viaggio alla costruzione di un’azienda basata sul viaggiare il passo è stato breve? Complicato?

«Io credo che un imprenditore, uomo donna che sia, deve prima imparare a conoscere bene se stesso se vuole poi avere la possibilità di gestire con successo gli altri. Capire quali sono le proprie forze e i propri limiti, è la base. Che poi va completata con un mix di umiltà, curiosità ed energia. Mai fare l’errore di sopravvalutarsi o, peggio, perdere la voglia di rinnovarsi e di cercare cosa di nuovo c’è “sotto il sole”».

Crede allora che gestire gli altri sia anche una questione di empatia? Insomma quando è una bella donna a “comandare”…

«Comandare non è il termine esatto, almeno se riferito a me e alla mia esperienza di lavoro. Io ho bisogno di una squadra affiatata che mi supporti e con la quale ci si sostenga a vicenda. Nonostante l’apparenza autoritaria che offro, non sono certo una dittatrice. Quindi ben venga l’empatia anche sul lavoro, ma a patto che non si trasformi in uno spiacevole “effetto alone”. È giusto invece avere il tempo di valutare tutti con obiettività, anche quelle persone che a prima vista magari sembrano troppo chiuse o poco espressive».

Passiamo per un momento al privato di Milena Mineo. Quali sono le sue priorità nella vita? Il lavoro e poi?

«Prima di tutto per me viene la famiglia. Quando devo prendere una decisione o fare una scelta la prima cosa che faccio è quella di capire in che modo questa vada a intaccare la vita delle persone che mi stanno accanto, siano esse i miei familiari o gli amici più intimi. E poi c’è lo sport. Alla carica e alla forza morale che l’attività fisica ti trasmette non potrei mai rinunciare. Mi piace correre e fare surf. Lo sport mi da molto equilibrio».

Grazie alle endorfine liberate del post-sforzo?

«Anche. Ma soprattutto grazie al fatto di “sentire” me stessa e quello che faccio e come lo faccio. Lo sport insegna anche la vita».

Cos’altro vuol dire la vita per lei?Come la definisce la sua in particolare?

«Le confesso che se dovessi definire cosa penso, lo farei di sicuro con poche parole ma chiare, anche perché penso che nella vita l’importante è non avere troppe idee, ma quelle giuste, o chiare almeno. E dentro di me, c’è sempre il viaggio che ritorna. Le dico un’altra cosa: io mi ritengo in un certo senso una “povera di spirito”, ma non in senso negativo. Non sono una di quelle persone che traggono energia da un libro di filosofia o da una ouverture di Chopin. Per me la questione è semplice e gliela riassumo volentieri in un motto: emozionarsi è viaggiare. Solo conoscere luoghi, colori, odori, uomini e donne diversi da me mi permette di sentirmi viva e realizzarmi come persona. E se qualcuno non approva, beh, peggio per lui!».

Allora, sentiamo: dove ultimamente si è sentita viva? Dove è davvero stata in grado di emozionarsi?

«Un’esperienza autentica che mi ha permesso di unire emozione, viaggio e fuga è stata quella vissuta in Oman. Si tratta di un Paese che per me è una scoperta recente, sia a li-vello personale sia lavorativo. Mi spiego: ho da poco letto le parole scritte da un futurologo americano, James Canton, il quale ha coniato una definizione che secondo lui – e devo dire anche secondo me – definisce quale sarà la direzione verso la quale viaggerà il nostro futuro. È quella di “consumismo conservativo”. Si tratta di una formula in apparenza banale ma che esprime un grande concetto. Quello per il quale il vero plus del mondo che verrà sarà di imparare a trarre maggior valore possibile dalle cose che già si hanno. Dove il potere più forte lo ha l’individuo. E proprio qui entra in gioco la mia esperienza con l’Oman. Si tratta di un luogo speciale, adatto proprio a essere “usato” come location per un viaggio evento che abbia la connotazione di viaggio di valore. Partecipando al quale si ha la percezione di assorbire una forza nuova. Per questo ogni l’incentive che proponiamo oggi è un viaggio verso mete che abbiano un forza intrinseca in se tale da creare formazione».

E l’Oman ha queste caratteristiche?

«A mio avviso sì. Perché è un luogo che trasmette perfettamente tutto quello che un angolo del mondo, quello mediorientale, oggi sempre più al centro delle dinamiche economiche, politiche e sociali globali, porta con se intrinsecamente. Proprio in Oman chi viaggia con noi ha la possibilità di capire come arte, cultura, storia e natura di quella nazione si trasferiscono in una lezione di vita e di esperienza che non si può non avere. Oggi il viaggio è un tassello che completa la formazione più che un evento emozionale che dia lo sprone per il futuro. Un prodotto leisure che abbia valore in se e che lo infonda automaticamente in chi lo vive è il futuro nel quale io credo».

Ma Milena Mineo crede anche in qualche insegnamento speciale sul quale basa la sua vita, o la professione?

«Assolutamente sì. Sembrerà scontato detto da una persona che fa il mio lavoro, ma la cosa più importante che bisogna fare nella vita è imparare a comunicare. Ovviamente, nel lavoro, quando si fa “questo” lavoro, ma non solo. La cosa più sbagliata al mondo è restare schiavi della propria pigrizia intellettuale e impedire agli altri di capire e di capirci. Anche solo per insicurezza. Se io fossi troppo chiusa e non riuscissi a comunicare me stessa nel modo giusto allora rischierei di diventare aggressiva per mascherare questa mia mancanza. Potrei magari diventare sgarbata anche adesso con lei e quindi non trasmetterle il vero pensiero della vera Milena».

Non mi sembra di avere corso questo rischio… Mi dica però: quale è l’insegnamento che lei vorrebbe poter portare agli altri?

«Che bisogna affrontare la vita con maggiore ironia. Perché trasmettere ironia è un modo fantastico per portare cultura. Nel senso che è il modo migliore per fare capire agli altri qualcosa di se stessi col sorriso sulle labbra».

Lei sembra avere le idee chiare sulla situazione di oggi e su come si potrebbe uscirne. È forse anche una questione di qualità?

«Esattamente. Far crescere il mercato della comunicazione oggi è possibile solamente attraverso la qualità. Si parla tanto di lusso, come nuova e più importante frontiera del merca-to attuale. Rivolgersi all’elite sempre più ristretta che ha il potere è certo un modo sicuro per avere il riscontro economico che si desidera, ma non basta. Non basta per far crescere un’economia globalizzata e complicata. Meglio allora pensare alla qualità, come alla frontiera più importante: oggi lusso vuol dire viaggiare nel modo giusto e, perché no, responsabile. Io mi occupo di servizi e quindi devo ascoltare cosa la gente vuole e dare loro un evento che compenetri un plus di valori che è il vero lusso. Che non ricalca quella che è oggi l’accezione negativa del termine –lusso uguale snob – ma che appunto sia sinonimo positivo di qualità. Così l’imprenditore curioso scova la qualità, la propone e la “vende”, sfruttando la crisi come forza per ripartire».

E il web? Lo spazio dove si consuma oggi la maggior parte dei rapporti di lavoro è davvero il futuro della comunicazione?

«Sì. Anzi sì, ma non al cento per cento. Oggi la comunicazione via internet fa la parte del leone soprattutto per una questione di costi. Nel prossimo futuro lo scenario potrebbe cambiare. In fretta magari, come è già cambiato repentinamente il mondo in questi anni. Io comunque credo molto e investo nella rete. Non solo nel sito di Mil e nel blog, ma anche per cercare di avere il polso della situazione dell’online. Proprio per questo io stessa in prima persona penso di dover ancora crescere come internauta per potermi avvicinare anche in termini operativi alla rete».

E diventare una donna manager a tutto tondo, ma pur sempre una donna. Che avrà pure qualche debolezza…

Gli occhi le si illuminano e nello stesso tempo le guance arrossiscono quel poco… «Di certo lo shopping, ma a mia discolpa posso dire che non sono però una “shopaolic” totale. Mi piace il bello in tutte le sue forme. O almeno in quelle che a me sembrano essere le sue forme e quindi compro tanto per esserne tanto circondata. Poi un’altra caratteristica femminile che mi riconosco è quella di avere un “debole” appunto per il perdono. Inteso proprio nell’accezione profondamente cattolica, che di certo deriva dalla mia formazione familiare, del superamento degli sbagli e degli errori per arrivare a un livello, anche di conoscenza, superiore».
Che sia questa la nuova frontiera del business al femminile?

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